Civico Orto Botanico di Trieste
Il Civico Orto Botanico è di proprietà del Comune di Trieste e fa parte dei Civici Musei Scientifici.
All’Istituto è associata una riserva naturale formata dal bosco Biasoletto e dal bosco Farneto (in tot. 90 ettari).
Elemento cardine nel rapporto tra ricerca scientifica e conservazione dell’ambiente, il Civico Orto Botanico si propone attualmente anche come luogo didattico e ricreativo. Tale Istituto
infatti, deve essere in grado di soddisfare le esigenze di una ricerca scientifica avanzata e allo stesso tempo di una nuova conoscenza dell’ambiente, così da rappresentare un’occasione per
sviluppare attività di carattere culturale per una fascia sempre più ampia di popolazione.
Oltre all’aspetto di ricerca e classificazione sistematica, una tale istituzione assume anche il ruolo di conservazione, coltivazione e riproduzione di piante officinali, tessili e alimentari,
varietà orticole locali, flora spontanea ed endemica della regione e delle zone adiacenti, piante acquatiche e palustri, piante succulente e quindi si può considerare come isola, sia pure
artificiale, di diversità floristica, che gioca un ruolo strategico nella conservazione della biodiversità, e quindi anche nella sopravvivenza dell’uomo stesso.
Quando l’Orto, come in questo caso, risulta integrato nella vita cittadina, non è più una struttura a uso dei botanici, ma si rivolge a un pubblico, ben più vasto, che intende ampliare la
propria cultura, o anche solamente sfuggire a un ambiente urbano inquinato e alienante.
Il Civico Orto Botanico pubblica regolarmente l’Index Seminum, dove vengono di anno in anno elencate le specie di cui si offrono i semi, complete di tutti i dati di raccolta. Tale elenco
viene inviato a molti altri orti botanici del mondo per uno scambio gratuito tra istituti scientifici.
Nicola Bressi
Direttore Servizio Musei Scientifici
(Storia Naturale, Mare, Orto Botanico, Aquario) del Comune di Trieste
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Parco Naturalistico Archeologico di Vulci
Gli impressionanti resti dell’antica città etrusca di Vulci, immersi in un parco naturale di rara bellezza,
disegnano un meraviglioso scenario di archeologia e paesaggio, tra i più emozionanti e suggestivi dell’intero Mediterraneo.
Sulla sponda destra del fiume Fiora, ai confini meridionali della Maremma, questo luogo eccezionale si estende su una vasta pianura, appena mossa da dolci rilievi, immersa nel respiro
delicato del tiepido clima mediterraneo, bagnata dal Mar Tirreno e protetta dai monti di Pitigliano e Canino a Nord e dai rilievi di Tarquinia a Sud-Est.
Il pianoro che fu scelto per ospitare la città, noto come Pian di Voce o Pian de’ Voci, a circa 20 km dalla costa, si innalza di circa 70 m sul livello del mare: di forma articolata e
naturalmente difeso da pendici scoscese, è delimitato a Nord dal Fosso Fontanile o Fosso della Città, ad Est dal fiume Fiora e a Sud dal Fosso di Pian di Voce o Fosso di Giano, mentre a
Ovest digrada dolcemente verso valle, offrendo un naturale accesso al sito.
L’area dell’abitato e quella delle necropoli circostanti è oggi tanto fertile quanto spopolata, mostrando
ancora sorprendenti affinità con il suo aspetto antico, tanto che, malgrado le massicce opere di bonifica degli anni Cinquanta del Novecento, la celebre, romantica descrizione che ne fece
Sir George Dennis nel XIX secolo, dipinge un quadro ancora del tutto attuale.
Il territorio dell’antica città ricade oggi in due diversi Comuni: in quello di Montalto di Castro rientrano l’area urbana e le necropoli settentrionali, in quello di Canino le estese necropoli
orientali lungo la sponda sinistra del Fiora, linea di confine tra le due amministrazioni.
Esplorato a partire dall’Ottocento, l’insediamento di Vulci nasce tra il Bronzo Finale e l’età del Ferro (XII-VIII sec. a.C.) e si sviluppa nei secoli successivi in rapida ascesa, fino a
raggiungere un ruolo politico ed economico di altissimo rilievo, che trova riflesso nello splendore dei sepolcri dell’aristocrazia e nella ricchezza degli oggetti di pregio provenienti da
tutto il Mediterraneo.
La fase etrusca è documentata soprattutto dalle necropoli, disposte a corona intorno all’area urbana:
su tutto spiccano certamente il monumentale tumulo della Cuccumella, con i resti, suggestivi, di una sorta di teatro per i giochi e le gare in onore dei defunti, e la tomba François con
le sue pitture, impressionante descrizione storica, tra le più antiche esistenti. La vera e propria città etrusca giace invece sotto quella romana. Conquistata nel 280 a. C.,
infatti, la grande metropoli si trasforma lentamente in un tranquillo centro di provincia, proseguendo la sua vita fino ad epoca tardo antica quando il pianoro appare ormai del tutto
abbandonato.
Ma la storia continua, al di là del fiume Fiora, con l’abbazia benedettina fortificata di S. Mamiliano,
della quale resta traccia, oltre che nei documenti d’archivio, anche nel Castello della Badia, fortezza attestata fin dal IX secolo e che ospita oggi il Museo Archeologico Nazionale di
Vulci.
Il Parco Naturalistico Archeologico di Vulci nasce il 12 luglio 1999 grazie ad una convenzione sottoscritta dall’allora Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, dalla Regione Lazio e dai
due Comuni di Canino e Montalto di Castro (VT): la convenzione costituiva un primo esperimento per la gestione integrata dei beni culturali e ambientali di una delle zone più suggestive del
Lazio e prevedeva il conferimento al Parco dei beni demaniali di proprietà statale mentre gli enti locali si impegnavano in particolare alla realizzazione delle infrastrutture mancanti e
alla gestione del complesso, affidata ad una società mista pubblico-privata creata dal Comune di Montalto di Castro a questo scopo.
Grazie all’attività svolta fin dal 1994 in base alla legge 160/1988, il Parco ha potuto beneficiare di numerosi interventi di ricerca, conservazione e restauro, che hanno consentito da un lato
una migliore conoscenza e una più sicura conservazione delle realtà archeologiche e paesaggistiche, dall’altro la valorizzazione e la promozione del sito anche a fini turistici. Tra
gli interventi più significativi l’esplorazione della cinta muraria, che ha portato alla scoperta di un nuovo tratto monumentale presso Porta Est, e l’indagine completa della Porta Ovest,
attuale ingresso alla città.
Le attività di conservazione e restauro si sono concentrate sull’assetto statico strutturale dell’Edificio in Laterizio e dell’Edificio Absidato, fragili perché da sempre visibili sul pianoro
della città; nella Domus del Criptoportico un complesso di interventi ha garantito la protezione dei mosaici e la completa agibilità del criptoportico, portico seminterrato che dà il nome
all’edificio.
Rientra invece nei programmi di valorizzazione la prossima costruzione di una passerella sul fiume Fiora: recuperando l’originario rapporto tra la città antica e le necropoli orientali,
questa struttura consentirà il completamento del percorso di visita raccordando l’area urbana e i grandi monumenti funerari, in particolare la tomba François e il tumulo di
Cuccumella.
Tra i molti risultati raggiunti e i progetti in divenire, il Parco di Vulci si mostra un luogo ancora vivo e capace di produrre qualcosa di prezioso e nuovo, nell’arricchimento del nostro
patrimonio culturale. Straordinario paradigma di questa emozionante vitalità è la scoperta recentissima della Tomba detta delle Mani d’Argento, che ci ha restituito un’impressionante coppia
di mani d’argento con preziosi rivestimenti in oro, parte di una statua in lamina di metallo, che, compensando simbolicamente la perdita di corporeità del principe, ne sublimava la morte,
proiettandolo in una dimensione eroica e immortale.
Grazie a queste scoperte e a quelle che ancora verranno, i visitatori possono immergersi in un antico paesaggio incontaminato, incontrando in un luogo suggestivo, onirico ma al tempo stesso
reale, gli Etruschi e il loro splendore, che da passato lontanissimo si trasformano in un emozionante presente.
Alfonsina Russo
Soprintendente per l’Archeologia del Lazio e dell’Etruria meridionale
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