Mario Tchou (Roma, 1924 – Santhià, 1961) è un ingegnere di origine cinese che ha realizzato il primo calcolatore elettronico a transistor commerciale al mondo. È nato a Roma, figlio di un funzionario dell’ambasciatore cinese presso il Vaticano, Yin Tchou e di Evelyn Wauang.
Mario studia nella capitale e si diploma nel 1942 presso il liceo classico Torquato Tasso. Si iscrive poi alla facoltà di ingegneria all’università di Roma. Nel corso del terzo anno si trasferisce, per motivi di studio, negli Stati Uniti.
Nel 1947 consegue la laurea (il Bachelor in Electrical Engeneering presso la Catholic University of America). Subito dopo è a New York per insegnare presso il Manhattan College. Nel 1949 ottiene il Master of Science al Polytechnic Institute of Brooklyn. Nel 1949 si sposa a New York con Mariangela Siracusa. Nel 1952 è assistant professor in ingegneria elettronica presso la Columbia University. Per diventare subito dopo direttore del Marcellus Hartley Laboratory.
Nel 1954 accetta la proposta di Adriano Olivetti e si trasferisce in Italia per dirigere il Laboratorio ricerche elettroniche (LRE) dell’Olivetti a Barbaricina, nei pressi di Pisa.
Il team è formato da una decina di giovani ricercatori, reclutati attraverso un annuncio sui giornali in cui l’Olivetti rende noto di essere in cerca di ingegneri e fisici con «vivi interessi ai problemi relativi alle calcolatrici elettroniche».
L’idea di Adriano Olivetti è quella di creare a Pisa, dove proprio nel 1954 ha avviato il progetto CEP (Calcolatrice elettronica pisana) insieme a un gruppo di fisici e matematici dell’università toscana, sia una macchina calcolatrice di nuova generazione di interesse scientifico sia una macchina di interesse commerciale. I gruppo di Tchou ha questo compito.
Nel 1957 l’ingegnere italo-cinese realizza un prototipo, ma a valvole. In quel periodo si parla molto di una nuova invenzione, i transistor, Tchou decide immediatamente di realizzare un calcolatore a transistor, che sarà molto più piccolo e maneggevole. Il prototipo è pronto già all’inizio del 1958.
Lo sviluppo tecnologico è, dunque, compiuto. Ora occorre passare alla fase di produzione industriale. Il centro di Barbaricina viene chiuso e il gruppo di Tchou si trasferisce a Borgolombardo, nei pressi di Milano. Qui inizia la produzione del primo computer commerciale tutto italiano e, soprattutto, tutto a transistor.
Si chiama ELEA 9003. Viene esposto alla Fiera di Milano del 1959 e presentato al Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. La macchina viene acquistata da molte aziende. Attualmente siamo allo stesso livello dei paesi più avanzati, dichiara soddisfatto Tchou. Non è vero. In questo momento il gruppo è più avanti degli altri. Nessun altro possiede computer completamente transistorizzati e con notevoli capacità di calcolo che ELEA 9003 è in grado di svolgere in parallelo.
La macchina è davanti a tutti. Ma Tchou sa che ha grossi limiti. Per via del linguaggio usato. Occorre costruire al più presto un’altra macchina, se si vuole mantenere il vantaggio.
Egli considerava l’Italia "allo stesso livello dei paesi più avanzati nel campo delle macchine calcolatrici elettroniche dal punto di vista qualitativo. Gli altri però ricevono aiuti enormi dallo Stato. Gli Stati Uniti stanziano somme ingenti per le ricerche elettroniche, specialmente a scopi militari. Anche la Gran Bretagna spende milioni di sterline. Lo sforzo di Olivetti è relativamente notevole, ma gli altri hanno un futuro più sicuro del nostro, essendo aiutati dello Stato".
Dal punto di vista tecnico ebbe la grande intuizione di utilizzare il silicio nell’hardware; soluzione destinata a diventare la base dell’informatica, anche dei giorni nostri.
Dal punto di vista organizzativo Tchou non fu da meno, rompendo i rigidi schemi aziendali e dando vita ad un gruppo di ragazzi ai quali non veniva chiesto di timbrare un cartellino (anzi era concesso freetime in orario aziendale), quanto di realizzare un obiettivo,
Tchou scommetteva senza paura sui giovani
“perché le cose nuove si fanno solo con i giovani. Solo i giovani ci si buttano dentro con entusiasmo, e collaborano in armonia senza personalismi e senza gli ostacoli derivanti da una mentalità consuetudinaria”.
Mario Tchou morì in un incidente d’auto il 9 novembre 1961, a soli 37 anni, mentre si recava a Ivrea per discutere del progetto di una nuova architettura hardware a transistor, basata su un nuovo software: il nuovo progetto avrebbe dovuto utilizzare come linguaggio di programmazione preferenziale il Palgo, derivativo dell’ALGOL, e un assembler di nome PSICO.
L’improvvisa morte di Tchou, successiva di un anno alla morte prematura di Adriano Olivetti, decretò la fine del progetto Elea (il laboratorio guidato da Tchou fu in seguito venduto alla General Electric).
Entrambe le morti chiudono un’importante stagione per l’elettronica italiana, che vedeva allora la leadership industriale e tecnologica della Olivetti.
Poco tempo fa è stato Carlo De Benedetti ad avanzare l’ipotesi che Mario Tchou, un genio dell’informatica, sia stato ucciso dagli americani.
Un dato è certo, dopo la morte di Mario Tchou e di Adriano Olivetti il cammino dell’informatica in Occidente prese un’altra strada, quella americana.
(a cura di Stefano Carbone)