Il primo Gennaio uscirà nelle sale cinematografiche italiane il film dedicato ad Alan Turing: “The Imitation Game” (fa riferimento al cosiddetto Test di Turing). Il film descrive la vita, la genialità, ma anche il dramma umano di una persona fuori dal comune, capace di complesse astrazioni e di sintesi logiche per altri irraggiungibili.
Il titolo del film in Italiano “il gioco dell'imitazione” fa riferimento al cosiddetto “Test di Turing” apparentemente un “gioco” di riconoscimento, uno scambio linguistico, in realtà un criterio per valutare se una macchina possa pensare; l'argomento era stato già oggetto di analisi da parte di Cartesio nel “Discorso sul Metodo” del 1637.
Turing tratta il tema nell’articolo “Computing Machinery and Intelligence” pubblicato sulla rivista “Mind” nel 1950. In sostanza il test riguarda una persona che attraverso un certo numero di domande deve individuare quale interlocutore, tra due sconosciuti, sia di sesso maschile e quale femminile.
Il test viene eseguito in condizioni tali per cui può essere effettuato solo attraverso un mezzo limitato, nell'ipotesi di Turing una telescrivente, che consenta lo scambio di domande e risposte ma non l'ascolto e la visione tra gli interessati. Turing variò il test sostituendo uno dei due soggetti in esame con una ipotetica macchina in grado di rispondere. Se la frequenza con cui l’esaminatore sbaglia a riconoscere tra chi sia l'uomo e chi la macchina è analoga a quella del test tra umani nel riconoscimento tra uomo e donna, allora la macchina stessa dovrebbe essere considerata intelligente, dal momento che - in questa situazione - sarebbe indistinguibile da un essere umano. Il tema è complesso e ancora dibattuto anche alla luce dell'evoluzione raggiunta dai computer e ha dato luogo a molte riflessioni, sul concetto di intelligenza delle macchine e sul comportamento logico o adattivo apparentemente “intelligente” delle stesse.
Un esempio è l'esperimento mentale della “Stanza Cinese” di John Searle, in questo caso si tratta della simulazione da parte di un essere umano di una “Macchina di Turing” e quindi di un elaboratore. Il soggetto umano nella “Stanza Cinese” esegue una sequenza di istruzioni in inglese, equivalenti ad un programma, per manipolare simboli della lingua cinese che gli provengono dall’esterno. Il risultato dell’elaborazione viene inviato all’esterno. L'uomo con le sue azioni genera all’esterno della stanza l'apparenza della comprensione del cinese, così come farebbe un computer che esegue un programma, seguendo le istruzioni di manipolazione dei simboli, ma non giunge per questo a comprendere il cinese. L’esperimento mentale ha lo scopo di dimostrare che una macchina può manipolare in maniera logica dei simboli con un risultato che può apparire frutto di intelligenza senza che la macchina abbia comprensione di ciò che ha operato.
In sostanza dimostra più in generale che non è possibile ottenere semantica e quindi significato dalla sintassi che è manipolazione di simboli formali. Un computer, secondo la visione di Searle, non fa altro che ciò che fa l'uomo nella “Stanza Cinese”, manipola simboli in base alla sintassi a cui sono legati. L’elaborazione del computer, ottenuta eseguendo un programma, non lo pone, a prescindere dalle apparenze dovute al risultato ottenuto, in una condizione di comprensione reale. La riflessione su questi temi dovrà essere sempre più adeguata alla realtà concreta che vivremo in un mondo dove i robot acquisteranno progressivamente nuove capacità e livelli di indipendenza sempre maggiori. Già oggi la “roboetica” si pone il problema di come impostare una logica che corrisponda ad un'etica per le macchine che interagiranno sempre di più con noi. La continua ricerca da parte dell’uomo del miglioramento tecnologico, spinge l’evoluzione robotica verso sistemi complessi “umanoidi”, senzienti, adattivi e logici ma certamente non consapevoli di sé e delle proprie azioni che dovremo imparare a gestire con saggezza.
(a cura di Alessandro Burgognoni)