fondazione proPosta
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Le Poste e la Grande Guerra

Le donne portalettere durante la Prima Guerra

Dopo la Serao, molte altre donne hanno indossato la divisa delle Poste dando lustro alla figura della donna. Lo svolgimento di incarichi  ritenuti all’epoca ad appannaggio prevalentemente maschile, delinearono per la donna una traiettoria di progressiva emancipazione. Il fattore culminarnte fu lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando l'Italia si trovò costretta a costituire un servizio postale straordinario. Infatti, nel 1915 la carenza di manodopera maschile per la chiamata al fronte e il continuo incremento dei flussi di corrispondenza postale,rese necessario un provvedimento governativo che aprisse massicciamente anche alle donne l’accesso alle mansioni di portalettere. Fu la vera e propria rivoluzione sociale per il Paese che rivendicava al ruolo femminile una posizione di protagonismo nella società economica e produttiva, attraverso un medium quale era la posta che filtrava capillarmente in ogni strato sociale.

La donna passò da "angelo del focolare domestico" a membro attivo di quel cambiamento in atto che la Grande Guerra stava svolgendo. 

 

Il processo tuttavia non fu indolore: non essendo stata prevista alcuna forma di divisione del lavoro in base al genere, le donne si videro obbligate a compiere gli stessi lavori dei colleghi maschi, compresi quelli più pesanti. Nei campi era necessario spostare i covoni di fieno o i sacchi di grano, accudire il bestiame e utilizzare tutte le macchine agricole. Allo stesso modo all'interno delle fabbriche dovevano essere sollevati pesi notevoli e compiuti gesti ripetitivi e meccanici. Durante la guerra, in Italia, così come negli altri paesi belligeranti, le donne sostituiranno gli uomini in ogni settore della produzione e dell'economia trovandosi spesso a ricoprire mansioni specializzate, utilizzando strumenti – fresatrici, torni, saldatrici – che mai avevano maneggiato prima d’allora e che nell’immaginario collettivo restavano percepite come “cose da uomini” . Ma i dati parlano chiaro: Alla fine del conflitto, nel novembre del 1918, il 75% della produzione italiana sarà in mani femminili. 

Tramviere, postine, spazzine in divisa attraversarono fieramente le città di tutta Europa, affermando una nuova consapevolezza di sé e del proprio ruolo nella società. Tuttavia, a parità di lavoro, le donne italiane, diversamente da quelle inglesi, francesi o tedesche, continuarono ad essere sottopagate rispetto agli uomini e ad essere guardate con sospetto e ostilità. Ma la voce del “gentil sesso” non tardò a farsi sentire : la cronaca registrò molti casi di protesta sociale da parte delle lavoratrici, che non esitarono a scendere in piazza per reclamare il ritorno dei loro uomini dalla guerra o almeno l’aumento del sussidio governativo.

Queste tenaci resistenze all’integrazione del lavoro femminile fecero sì che alla fine della guerra la maggior parte delle donne fosse nuovamente espulsa dal mercato del lavoro, che tornò ad essere prevalentemente “maschile”. Tuttavia, Amministrazioni pubbliche e private, fra le quali le Regie Poste, continuarono ad avvalersi stabilmente di personale femminile, tanto che a tre anni dalla fine della guerra le donne italiane censite come “impiegate” risulteranno più che raddoppiate (da 52.000 a quasi 120.000). L’esperienza di rottura del recinto della domesticità che molte donne vissero negli anni della guerra non fu dunque del tutto dispersa e generò anzi delle trasformazioni culturali e di costume profonde, aprendo la strada alle conquiste del “secolo delle donne”.

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