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In soccorso di Gondor

Nell’ambito della storia delle comunicazioni, settore cruciale del Museo cui è riservato ampio spazio tra le prime stanze del percorso museale, non possono non meritare attenzione le tecniche e i sistemi comunicazione o avvistamento.

Il titolo dell’articolo vuole far  riferimento  ad un memorabile esempio cinematografico di comunicazione a distanza. Ci permette di approfondire i sistemi utilizzati nel Medioevo dai possidenti degli agri disseminati in quel periodo nella Campagna Romana.

I monumenti che ancora oggi si è in grado di ammirare, oltre a quelli che si evincono dalla cartografia storica - a partire dalla “Mappa della Campagna Romana al tempo di Paolo III” di Eufrosino della Volpaia del1547 - dimostrano quanto fitta e uniforme fosse la loro distribuzione, forse proprio allo scopo di garantire il funzionamento di una rete di avvistamento e segnalazione dal litorale, o viceversa dall’entroterra, fino a Roma.

Le prime testimonianze monumentali risalgono ai secoli X e XI. Proprio in quest’età cominciano a fiorire nei dintorni di Roma torri e castelli, costruiti ex novo o partendo dal riutilizzo di edifici preesistenti. In questo periodo, infatti, si assiste alla creazione di “strade fortificate” mirate a garantire una comunicazione sicura per chi da Roma voleva  raggiungere le singole rocche baronali.

Significativo, ad esempio, il caso dell’Appia, che venne scelta in località “Capo di Bove” dai Conti di Tuscolo come luogo per costruirvi una loro fortificazione. Essi trasformarono, come poi fecero i Caetani nel 1308, il Mausoleo di Caecilia Metella in mastio della fortezza. Da quest’ultima la strada per raggiungere Tuscolo – ci troviamo pertanto prima della distruzione del centro fortificato dei Castelli Romani avvenuta nel 1191 – era la via Appia fin circa alla Villa dei Quintili. Si percorreva quindi un tratto della via Latina, dal secondo chilometro circa dell’odierna via Anagnina. 

Si incontravano, lungo questo percorso, il Castello di Caecilia Metella, le torrette di guardia a difesa della rocca costruita sulla Villa dei Quintili, la fortificazione sopra il “Casal Rotondo”, la “Torre Selce”, il Castello di Borghetto e Tuscolo stessa. 

Fu l’espansione baronale, proprio tra X e XI secolo, a dare impulso alla fortificazione ad ampio raggio della Campagna Romana. Lungo le principali direttrici si moltiplicarono le torri di vedetta, nonché si commissionò da un lato il consolidamento con funzione difensiva di casali, chiese e ponti, dall’altro la costruzione dei primi castelli.

 

L’ubicazione di queste strutture lungo le antiche vie romane, a tratti ancora oggi percorribili, suggerisce che per la messa in opera delle nuove murature si facesse uso dei basoli delle stesse strade, spezzettati ad arte.

La necessità che simili strutture venissero scorte, nitidamente, da distanze non esigue suggerì l’escamotage di alzare mura contraddistinte da fasce di selce alternate ad altre di materiali calcarei, come il marmo o il travertino. L’alternanza di fasce orizzontali grigio-scure ad altre bianche, che riuscì ad accendere i contrasti nella Campagna Romana anche a notevoli distanze, continuò ad essere eseguita anche nei secoli successivi, dando adito al toponimo ricorrente di “Tor Vergata”, su cui poi si tornerà.

 

Le terrazze delle torri, per la loro posizione preminente, erano il luogo principale per mettere in funzione il sistema di comunicazione e avvistamento. Dato per scontato, per motivi fisici, che il lampo arriva prima del tuono, la segnalazione luminosa, di notte, o quella di fumo, di giorno, era dunque l’unico sistema utilizzabile per trasmettere informazioni attraverso il territorio, solcando alture e vallate. Non poteva che trattarsi di un codice, benché elementare, concordato dai feudi circonvicini, analogo a quello fino a pochi anni fa usato anche dalla nostra civiltà, il Morse Code (Codice Morse). Lascerebbe aperta questa ipotesi un passo delle “Storie” di Polibio, nelle quali si accenna all’arrivo di Annibale davanti alle Porte Temenidi di Taranto. Il condottiero cartaginese, da accordi con Tragisco, doveva accendere un fuoco non appena fosse giunto in prossimità delle porte. Tragisco, a sua volta, visto il segnale dall’interno, doveva rispondere in modo analogo. Recepito il segnale, Annibale – sempre secondo gli accordi – avrebbe infine spento il suo fuoco per poi avanzare.

 

Questo sistema, impostato sul “dialogo” tra due parti, mostra come potesse essere previsto, dai codici del tempo, un accendersi-spegnersi ritmico dei falò sulle colline o sulle torri di avvistamento.

Nella Valle del Platani, nei pressi di Agrigento – altro esempio calzante al nostro scopo – sono state documentate, a livello archeologico, strutture murarie relative a fortificazioni, di varie epoche, la cui funzione era quella di lanciare segnali ottici: di notte fuochi, di giorno segnalazioni di fumo.

 

Attraverso queste postazioni, collocate sulle montagne più alte, la città di Agrigento poteva comunicare, attraverso il fuoco di Naro (lo stemma del Comune riporta ancora tre torri con faci sulle sommità) – “Nar”, in arabo, significa appunto “fiamma” – e la contrada di Bifara nei pressi di Campobello di Licata, con Siracusa. Questi φανόι (“fiamme", "torce”) venivano accesi su rilievi scoscesi e inaccessibili all’interno di fosse, scavate nella roccia o realizzate in muratura, provviste di una canaletta di scarico posta sotto vento. L’epoca di queste strutture si fa risalire, perlopiù, all’età bizantina, tra la seconda metà del VII e gli inizi del IX secolo.

 

                                                                                                   (Paolo Montanari)

Nel nostro canale video, due riferimenti di comunicazione a distanza. La trasposizione cinematografica del terzo libro de “Il Signore degli anelli” di J.R.R. Tolkien “Il ritorno del Re” e un'animazione che spiega la nascita e l'utilizzo del telegrafo ottico di Chappe.

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