“Ci sentiamo su WhatsApp?”, “Ti faccio uno squillo e scendi”.
Espressioni che ad oggi sono comuni nel gergo dagli adolescenti, e che da qualche anno a questa parte sono entrate nello stile quotidiano di vita non solo dei ragazzi ma anche del mondo adulto.
Ma il diciassettenne che manda ai propri amici messaggi con WhatsApp o l’imprenditore che fissa una riunione con il suo iPhone avrebbero potuto utilizzare tali mezzi tecnologici se uno scienziato geniale quale Antonio Meucci non avesse dato avvio, oltre un secolo e mezzo fa, ai propri esperimenti di trasmissione delle onde tramite apparecchi?
A distanza di oltre 150 anni da quegli esperimenti è importante dare a Cesare quel che è di Cesare, tanto più nel caso di Meucci, la cui vita fu caratterizzata da una lunga serie di circostanza sfortunate. Importante è conoscere quelli che sono stati gli albori del nostro modo di comunicare odierno. Antonio Meucci, trasferitosi all’Avana dalla natia Toscana, da avvio a quelli che sono i suoi primi esperimenti di galvanoplastica con Pile Bunsen (anello di rame, vaso poroso, lamina di zinco, vaso di porcellana, catodo).
È a partire proprio da questi esperimenti che, in modo anche bizzarro e del tutto casuale, Meucci arriva a realizzare ciò che egli stesso in seguito definirà il "telegrafo parlante"; l’esperimento aveva scopi terapeutici: alcuni amici medici, discutendo con lui dei sistemi curativi di Mesmer, gli chiesero di farne una verifica su alcuni pazienti, per lo più affetti da reumatismi.
Secondo quanto indicato dallo stesso Meucci, il paziente si trovava nella "terza stanza", nella seconda stanza era sistemato un rotolo di filo conduttore. Meucci stava nel laboratorio (dove si trovavano le batterie Bunsen) e teneva in mano un utensile uguale a quello consegnato al paziente.
Quando, per localizzare più precisamente la sede della malattia, venne ordinato al paziente di mettersi la linguetta metallica in bocca, quest'ultimo fu sottoposto a una scarica di 114 V, lanciò un grido che Meucci sentì provenire dall'utensile che teneva in prossimità del suo orecchio. Lo scienziato capì in quel momento che il suono, benché qualcosa ancora di indefinibile, poteva trasmettersi tramite il filo conduttore.
Per evitare problemi ai pazienti e continuare con quelle che erano le sue ricerche, Meucci avvolse l'utensile in un cono di cartone in modo da evitare il rischio di contatto fra linguetta metallica e corpo umano.
Malgrado la straordinaria scoperta, la dea bendata non assistette di certo il luminare, afflitto da sfortune familiari, legate alla malattia della moglie, brevetti mancati e precarietà economiche; furono proprio le grame condizioni finanziarie dello scienziato che gli fecero perdere la paternità, nel 1876, dell’invenzione del telefono, che non potendo rinnovare il brevetto andò nelle mani dell’americano Bell.
Ma la rivincita dello scienziato arrivò, anche se forse con un po’ di ritardo, nel 2002 grazie all’ingegnere e ricercatore italiano Basilio Catania, quando il Congresso degli Stati Uniti d’America riconobbe ufficialmente la priorità di Meucci nell’invenzione del telefono.
Perché è stato così importante riconoscere il primato di Meucci su Bell?
In un momento sociale quale è quello attuale, in cui i più grandi “cervelli” nel nostro paese hanno così tante difficoltà ad esprime il proprio genio, in un momento dove tutto ciò che è al di fuori dell’Italia si profila come l’Eldorado, è fondamentale sottolineare e far sapere, conoscere e prendere coscienza che una scoperta quale quella del telefono, che ha raggiunto uno sviluppo esponenziale e ha rivoluzionato negli anni il modo di tenersi in contatto mondialmente, è stata prodotta da un italiano.
Prendere coscienza significa rivendicare noi stessi come popolo nella figura di Meucci.
La rivincita di Meucci è stata anche la nostra, sentendoci parte di questo orgoglio italiano che ad oggi ha portato a costruire le fondamenta del nostro vivere quotidiano non solo a livello comunitario e nazionale, ma mondiale.
Nel Museo Storico della Comunicazione del Ministero dello Sviluppo Economico è riprodotto proprio l’esperimento di Meucci effettuato nelle tre stanze dell’Avana.
(Raffaella Riverso)