Si parla per la prima volta di “portalettere” nel “Regolamento disciplinare degli impiegati delle poste” introdotto il 15 dicembre 1860 nella nuova Italia unita ed entrato in vigore nel gennaio del 1861. Compiti e caratteristiche civiche, anagrafiche, fisiche e morali sono descritti con particolare precisione per la nutrita compagine di coloro che, in origine perlopiù nelle grandi città, avevano il delicato compito di portare le corrispondenze casa per casa, conducendo dunque la posta tra le famiglie italiane, in altri uffici pubblici, negli esercizi commerciali, nelle ditte commerciali.
Per diventare portalettere era sufficiente aver superato la maggiore età, saper leggere, scrivere e far di conto, possedere almeno una conoscenza discreta del francese, lingua internazionale dei sistemi postali, essere cittadino del Regno. Ma soprattutto essere, come si legge nel Regolamento, di “specchiata onestà”.
Operosi come formiche attivissime che correvano ovunque, i portalettere possedevano una strabiliante conoscenza delle loro zone di lavoro; toponomastica vivente, il portalettere conosceva nel dettaglio strade e viuzze secondarie, anagrafici e persone. Nulla sfuggiva alla sua onnipresente professionalità di dispensatore di buone e cattive notizie, di auguri e insperate lettere di amici o fidanzati.
Fin da subito il portalettere divenne proverbiale vettore delle Poste cui l’articolo 146 del Regolamento affidava “l’incarico della distribuzione delle corrispondenze a domicilio e la levata delle lettere dalle cassette postali”. Ma l’attività quotidiana non era poi così semplice come poteva apparire: era necessario vestirsi in un certo modo secondo le norme prescritte per poter essere immediatamente identificato; comportarsi in qualsiasi circostanza in maniera adeguata, operare secondo precise indicazioni. Il postino non poteva soffermarsi nei bar o nei caffè, fumare in servizio, o chiacchierare troppo con gli utenti. La pratica quotidiana fu di altro genere, nel corso del tempo, ma la sorveglianza sull’etica del portalettere sarebbe stata sempre oggetto di particolare rigore da parte dell’amministrazione.
In città e in campagna, portalettere, portalettere rurali collettori e distributori, pedoni rurali (sorta di “corriere interno” che trasportava dispacci fra le collettorie rurali e i veri e propri uffici postali da cui dipendevano) si trasformarono nel simbolo per eccellenza della posta che giungeva ovunque. Sul finire dell’Ottocento se ne contavano più di 5.600 sparsi in tutta la penisola. Ma era un numero destinato ad aumentare progressivamente: negli anni Trenta del Novecento erano già più di 11.000, negli anni Settanta il loro numero sarebbe raddoppiato per attestarsi oggi attorno alle 38.000 unità.
Assieme ai fattorini telegrafici e ai portapacchi, i postini hanno costituito parte del cuore pulsante della nazione. A piedi, poi in bicicletta e infine su moderni ciclomotori, i portalettere hanno corso assieme al progresso tecnico che inevitabilmente è stato per loro vantaggioso nella diminuzione dei tempi di percorrenza di “gite” giornaliere all’insegna di consistenti volumi di lettere stipate per molti anni in borse di cuoio divenute proverbiali tanto quanto le loro altrettanto famose divise.
Non c’è angolo d’Italia che non si possa dire mai raggiunto dal postino. Se egli è figura presente in tanta letteratura e in qualche caso anche cinematografia è senz’altro dovuto alla funzione determinante che ha svolto in più di un secolo per l’amministrazione postale e oggi per una delle più grandi aziende presenti nel mercato. Donne e uomini instancabili che sono stati “sentinelle della comunicazione” per intere generazioni di italiani.
Il postino non smette mai di stupirci: oggigiorno è diventato telematico, è capace di consegnarci ancor più velocemente lettere e plichi di ogni tipo. Nonostante il balzo in avanti compiuto dalla tecnologia informatica, la sua presenza, i suoi gesti sono il punto d’arrivo di una tradizione antica destinata a rinnovarsi nel tempo.
(Mario Coglitore)