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Biblioteca nazionale “Vittorio Emanuele III” in Napoli

La fondazione della Biblioteca di Napoli risale agli ultimi decenni del XVIII secolo, quando - in applicazione di un regio decreto del 1777 - si cominciarono a collocare nel Palazzo degli Studi, oggi sede del Museo Archeologico, le raccolte librarie fino a quel momento conservate a Palazzo Reale e nella Reggia di Capodimonte.

Tra queste la famosa libreria farnesiana, ricca di manoscritti e libri a stampa, che Carlo di Borbone, figlio ed erede di Elisabetta Farnese, aveva fatto trasportare nella nostra città nel 1736.

La biblioteca farnesiana avrebbe costituito il nucleo fondativo della nascente istituzione, con una così forte connotazione di carattere umanistico da costituire, nei secoli successivi, uno strumento straordinario di studi letterari e filologici.

Il trasferimento nella nuova sede era stato avviato nel 1784, ma solo dopo molti anni fu possibile aprirla ufficialmente al pubblico, il 13 gennaio 1804, sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone.

Questa data segna l’atto di nascita ufficiale della Biblioteca, che assunse allora il nome di Reale Biblioteca di Napoli. Nel 1816 essa divenne Reale Biblioteca Borbonica e nel 1860 fu dichiarata Biblioteca Nazionale.

Con l’Unità d’Italia la Biblioteca di Napoli fu ulteriormente arricchita con i fondi provenienti dalla soppressione degli ordini religiosi e con importanti doni e lasciti.

Al primitivo nucleo farnesiano si erano già andate aggiungendo altre prestigiose biblioteche, come quelle dei gesuiti e quella del principe di Tarsia, tutta permeata di spirito cartesiano. In seguito alle soppressioni nel 1800 veniva acquisita anche la biblioteca agostiniana del convento di san Giovanni a Carbonara, preziosa testimonianza della cultura meridionale di epoca umanistico-rinascimentale.

Nel corso del XIX secolo, con i volumi provenienti dalla certosa di Padula il patrimonio librario si accrebbe considerevolmente di codici, incunaboli, edizioni rare. Gioacchino Murat acquistò la ricca collezione bodoniana, cui seguì l’acquisizione della preziosa raccolta di incunaboli di Melchiorre Delfico e quella della famiglia Taccone, che contribuirono a formare la più ricca col- lezione incunabolistica italiana.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, a conclusione di un lungo procedimento giu- diziario relativo al lascito testamentario di Antonio Ranieri, con cui Giacomo Leopardi aveva tra- scorso gli ultimi anni della sua non lunga vita conclusasi nel 1837, fu destinato alla Biblioteca Nazionale il nucleo più consistente degli autografi del poeta recanatese.

La Biblioteca si trovò così ad essere depositaria della quasi totalità della produzione leopardiana e a divenire una tappa obbligata per gli studi sul poeta, ai quali il fondo Ranieri, rivelatosi una inesauribile miniera di testimonianze di prima mano, offriva un puntuale approfondimento.

A fine secolo si colloca la donazione della Biblioteca teatrale del conte Edoardo Lucchesi Palli, cospicua raccolta di opere teatrali, manoscritti musicali, autografi dei protagonisti della vita tea- trale non solo napoletana, destinata a divenire una biblioteca specializzata nel settore del teatro, e in genere delle arti dello spettacolo, compresi il cinema e la fotografia.

Nel 1910 fu annessa alla Biblioteca l'Officina dei Papiri Ercolanesi istituita da Carlo di Borbone al fine di custodire e svolgere i papiri provenienti dagli scavi di Ercolano del 1752-1754. Si san- civa in questo modo il definitivo passaggio del “laboratorio” per lo svolgimento dei papiri quale era stata l’Officina alla Biblioteca Nazionale, che entrava in possesso dell’intera collezione dei papiri svolti, non svolti, dei disegni e dell’archivio di carte utili a ricostruirne la storia.

L'originaria sede del Palazzo degli Studi era divenuta ormai inadeguata alle dimensioni ed alle necessità di una Biblioteca che tanto si era accresciuta nel tempo. Iniziò così il dibattito sulla scelta dell'edificio da destinare a tale uso, dibattito protrattosi fino al 1922 quando, grazie soprattutto all'interessamento di Benedetto Croce, ne fu deliberato il trasferimento a Palazzo Reale nel 1923.

In quegli anni furono annesse alla Nazionale la Biblioteca del Museo di San Martino, la Brancacciana – la più antica biblioteca pubblica napoletana –, la Provinciale, la San Giacomo.

Nel 1923, in seguito al trattato di Saint-Germain ed alla Convenzione artistica di Vienna, furono consegnati alla Nazionale di Napoli i preziosissimi manoscritti che nel 1718 Carlo VI d'Asburgo, interessato alle più preziose testimonianze manoscritte dell’antichità, aveva forzatamente fatto trasferire a Vienna dal convento agostiniano di san Giovanni a Carbonara e da altri conventi napoletani, designati come "ex viennesi".

Negli ultimi anni, l’Istituto si è notevolmente arricchito di pregevoli collezioni, quali i fondi Doria e Pontieri, nonché di tutta una serie di acquisizioni anche manoscritte tra cui le carte Marone e Morelli. Nel 1990 la Biblioteca ha aderito al Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), progetto finalizzato alla realizzazione di una rete telematica di cataloghi di biblioteche italiane di diversa appartenenza amministrativa.

Oltre alla partecipazione a numerosissime mostre in Italia e all’estero, sia con la compartecipa- zione sia con il prestito del suo prezioso materiale, l’Istituto si fa continuamente promotore di conferenze, presentazioni di libri, mostre di vario genere, eventi culturali e didattici che lo ren- dono ormai da anni un polo culturale ineludibile non solo a Napoli, ma in tutto il Mezzogiorno e in Italia.

Il patrimonio librario manoscritto e a stampa della Nazionale di Napoli è molto cospicuo: ai 2.000.000 di volumi si aggiungono 5000 incunaboli, circa 19000 manoscritti, 1800 papiri erco- lanesi, nonché un nutrito numero di lettere, bandi, pergamene, carte geografiche, incisioni, dise- gni, fotografie e materiale digitale.

 

 

Dott.ssa Simonetta Buttò
Direttrice della Biblioteca Nazionale di Napoli

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