fondazione proPosta
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Comunicare - impressioni e riflessioni di una visitatrice

L'esigenza di comunicare risale certamente ai primordi della storia dell'uomo; tutti ne siamo consapevoli, ma lo percepiamo con particolare intensità fin dal primo contatto con il Museo delle Comunicazioni. Le comunicazioni attraverso le nuvole di fumo, il rombo del tam tam, il suono dei corni, gli specchi nel sole, i bagliori di lanterne nella notte consentivano di trasmettere con immediatezza, anche a notevoli distanze, notizie importanti ed urgenti, di lanciare l'allarme per imminenti pericoli. (vedi filmato)

Vennero realizzati poi servizi postali regolari ed organizzati fin dalle più antiche civiltà, dalla Cina all'Egitto all'antica Roma; una rete di messaggeri a cavallo, corrieri e battellieri che diramavano, anche a grandi distanze, editti e decreti, notizie e messaggi. La costruzione di nuove strade avveniva di pari passo con l'estendersi degli imperi a nuove province, con la conseguente necessità di assicurare collegamenti postali regolari, attraverso velocissimi messi; analogamente venivano assicurati, attraverso le rotte marittime, servizi sicuri e regolari compatibilmente con le condizioni del tempo.

Reti di comunicazione pubbliche e private hanno via via preso forma, ed anche le aziende commerciali, i cui interessi si estendevano a località remote, istituirono una propria rete di comunicazione.

Desta emozione vedere la ricostruzione, con mobili ed oggetti autentici, di antichi Uffici postali, le uniformi, le borse dei corrieri e dei postini di secoli fa, incredibilmente ben conservate o riprodotte in suggestivi acquarelli, le antiche buche delle lettere..... 

L'esigenza di accorciare le distanze, nella storia dell'umanità, è nata, a mio avviso, oltre che per motivazioni pratiche (divulgazione di notizie e disposizioni, allarme in caso di pericolo, scambi commerciali etc.), per la necessità, insita nell'uomo, di assicurare la continuità delle proprie parole, dei propri pensieri e della propria storia, al di là delle distanze spazio-temporali.

Le contingenze della vita, la spinta ad andare oltre, verso nuove esperienze e conoscenze, possono allontanarci dalle nostre radici, generare un senso di smarrimento, un bisogno di guardarsi indietro per il timore dell'ignoto.

Forse dobbiamo anche alla necessità di superare questo sgomento l'inarrestabile spinta evolutiva che ha fatto spiccare il volo alla ricerca verso nuove modalità e tecniche di comunicazione, per raggiungere obiettivi un tempo inimmaginabili, traguardi sempre nuovi, dai segnali di fumo e i messaggeri a cavallo fino ad un mondo interamente interconnesso in cui le comunicazioni viaggiano in tempo reale. Sono, passo dopo passo, i miracoli a cui l'umanità ha assistito, assiste e continuerà ad assistere, e di cui troviamo innumerevoli e dettagliate testimonianze ed illustrazioni in questo Museo.

La visita, in particolare ai settori dedicati alla comunicazione postale ed alla sua evoluzione nei secoli, con grande ricchezza di autentici reperti, mi ha riportato alla mente una bellissima novella del grande Dino Buzzati, dal titolo “I sette messaggeri”, che, con il simbolismo affascinante e suggestivo di una fiaba, ci comunica l'impulso dell'uomo a spingersi fino ed oltre al limite estremo dei confini e delle conoscenze, con emozione ed entusiasmo, ma anche con inquietudine e dolore. Ci fa avvertire l'angoscia costante di poter perdere le proprie radici, e, di conseguenza la propria identità ed ogni punto di riferimento, ma, nel contempo, ci trasmette la consapevolezza di dover andare avanti e guardare con interesse e slancio ad un futuro ignoto ma pieno di nuove possibilità e di promesse.

Penso che sia interessante riportare una sintesi della novella, attraverso i brani essenziali che ho testualmente trascritto, senza travisarne il senso ed il messaggio.

 “Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare.

 Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati. Credevo che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno.

 Sebbene spensierato - ben più di quanto sia ora – mi preoccupai di poter comunicare, durante i viaggio, con i miei cari, e fra i cavalieri della scorta scelsi i sette migliori, che mi servissero da messaggeri.

 Per distinguerli facilmente, imposi loro nomi con le iniziali in ordine alfabetico: Alessandro, Bartolomeo, Caio, Domenico, Ettore, Federico, Gregorio.

 Spedii il primo, Alessandro, fin dalla sera del secondo giorno di viaggio, la sera dopo inviai il secondo , e così via fino all'ottava sera di viaggio, in cui partì Gregorio. Il primo non era ancora tornato. Ci raggiunse la decima sera.

 Avevo pensato che procedendo isolato, in sella ad un ottimo destriero, potesse percorrere nel medesimo tempo una distanza due volte la nostra; invece aveva potuto solo una volta e mezza. Così fu degli altri.

 Allontanandoci sempre di più dalla capitale, l'itinerario dei messi si faceva ogni volta più lungo.

 Trascorsi che furono sei mesi, l'intervallo tra un arrivo e l'altro dei messaggeri aumentò a ben quattro mesi. Essi mi recavano ormai notizie lontane; le buste giungevano gualcite, talora con macchie di umido per le notti trascorse all'addiaccio.

 Avanti, avanti. Erano già passati quattro anni dalla mia partenza, la capitale, la mia casa, mio padre si erano fatti stranamente remoti. Ben venti mesi di silenzio e solitudine intercorrevano ora fra le successive comparse dei messaggeri.

 Mi portavano curiose lettere ingiallite dal tempo, e in esse trovavo nomi dimenticati, modi di dire a me insoliti.

 Ma otto anni e mezzo sono trascorsi. Stasera cenavo solo nella mia tenda quando è entrato Domenico. Da sette anni non lo rivedevo. Ha portato un pacco di lettere che non ho avuto voglia di aprire. Ripartirà domani all'alba, per l'ultima volta. Ho calcolato che non potrò rivedere Domenico che tra trentaquattro anni. Io allora ne avrò settantadue. Ma comincio a sentirmi stanco ed è probabile che la morte mi coglierà prima.

 Eppure va,Domenico,e non dirmi che sono crudele! Porta il mio ultimo saluto alla città dove io sono nato. Tu sei il superstite legame con il mondo che un tempo fu anche mio. Il quinto messaggero, Ettore, che mi raggiungerà, Dio volendo, fra un anno e otto mesi, non potrà ripartire perchè non farebbe più in tempo a tornare.

 Non esiste, io sospetto, frontiera. Probabilmente varcherò il limite senza accorgermene neppure.

 Per questo intendo che Ettore e gli altri messi dopo di lui, quando mi avranno nuovamente raggiunto, non riprendano più la via della capitale, ma partano innanzi a precedermi, affinchè io possa sapere in antecedenza ciò che mi attende.

 Un'ansia inconsueta da qualche tempo si accende in me alla sera, e non è più rimpianto delle gioie lasciate, piuttosto è l'impazienza di conoscere le terre ignote a cui mi dirigo. Una speranza nuova mi trarrà domattina ancora più avanti, verso quelle montagne inesplorate che le ombre della notte stanno occultando.

 Ancora una volta io leverò il campo, mentre Domenico scomparirà dalla parte opposta, per recare alla città lontanissima il mio inutile messaggio”. 

Un museo come questo è un luogo molto particolare, in cui è facile ripercorrere il tempo a ritroso, per tornare poi nuovamente al presente, ed immaginare nuove finestre spalancarsi su un futuro ancora inesplorato di conoscenze; sarebbe bello, magari, come già per il passato, che questo avvenisse grazie all'intuizione geniale di giovani creativi e motivati, cui andrebbe dato ogni supporto intellettuale e materiale.

Questo luogo ci ricorda che la scienza è in continua evoluzione, che la ricerca non conosce confini né punti di arrivo definitivi, ma sempre nuovi punti di partenza, perché è sempre possibile migliorare, e si può farlo, con gli stimoli ed i mezzi più appropriati.

 

                                                                                                                    (Donatella Manchisi)

 

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