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Le schede perforate

Al giorno d'oggi chiunque va in giro con in tasca un qualche dispositivo che permette di immagazzinare dati in pochi centimetri di spazio: che sia una chiavetta USB, uno smartphone, un lettore MP3 o una macchina fotografica, l'archiviazione dei dati non è mai stata così facile e alla portata di tutti.

Ma non è sempre stato così; i supporti esterni per immagazzinare dati si sono evoluti con il passare degli anni e sono cambiate le tecnologie, le dimensioni e le capacità. Tutto nasce con le schede perforate, lunghi fogli di cartoncino che immagazzinavano informazioni grazie a fori effettuati in schemi precisi, riuscendo a memorizzare fino a 960 bit di informazione. Avete letto bene, 960 bit! Per fare un confronto con le capacità dei moderni dispositivi, è come memorizzare la poesia "Soldati" di Giuseppe Ungaretti ('si sta come d'autunno sugli alberi le foglie') contro l'intera opera "A la recherche du temps perdu" di Marcel Proust ( considerato il romanzo più lungo del mondo secondo il Guinness dei Primati, con circa 9.609.000 caratteri, scritti in 3724 pagine).

La nascita delle schede perforate precede di molto quella dei computer. Sono state infatti utilizzate, a cavallo tra il settecento e l'ottocento, nei telai automatici dell'industria tessile. A ciascuna posizione della scheda era associato un filo dell'ordito, che veniva sollevato o abbassato a seconda della presenza o assenza di perforazione riproducendo così il motivo ornamentale sulla stoffa.

Charles Babbage (il padre di tutti gli informatici) adottò nel 1837 l'idea delle schede perforate per la costruzione della sua macchina analitica, ma fu solo nel tardo XIX secolo che esse furono utilizzate con profitto nelle prime macchine calcolatrici.

Le prime applicazioni delle schede perforate utilizzavano schede specifiche; solo nel 1928 l'IBM provvide a standardizzarne le dimensioni prevedendo 80 colonne con 12 posizioni di perforatura ciascuna e ad introdurre un taglio ad un angolo per evitare che fosse inserita al contrario nel lettore.

Ogni carattere memorizzato occupava una colonna arrivando quindi ad un massimo di 80 caratteri e la registrazione veniva fatta perforando o non perforando le caselle della colonna, quindi attribuendo il valore 1 nel primo caso e il valore 0 nel secondo, in poche parole utilizzando il codice binario.

Le perforazioni sulla scheda potevano identificare sia i dati che i programmi informatici. Ogni scheda era  perforata tramite un dispositivo meccanico di perforazione ( perforatore di schede ) con dei punzoni azionati da interruttori elettromagnetici. L'operazione di lettura era invece ottenuta tramite un dispositivo di sensori fotoelettrici (lettore di schede). La scheda veniva irraggiata dalla luce e il lettore rilevava la luce attraverso i fori sulla scheda per ricostruire l'informazione.

Le schede perforate raggiunsero l'apice dell'utilizzo tra il 1930 e il 1950 per poi essere gradatamente rimpiazzate agli inizi degli anni 1970 con la diffusione di altri supporti di memorizzazione basati sull'elettromagnetismo (nastri magnetici, floppy disk).

Ma questa è un'altra storia......

 

                                                                                   (a cura di Nicola Lodato)

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